Migrare: la condizione costitutiva dell’uomo nella storia dei padri, della sua drammatica attualità e nell’ipotesi avveniristica di un migrante umano su Marte.
Il progetto “Soglie 2.0” ha raccolto una pluralità di voci in un contesto reso inclusivo dalla creatività di persone che vivono d’esperienza del disagio mentale.
Ha rappresentato tutto questo in un flusso ininterrotto e armonico durato tre ore “Migrare”, il confronto promosso nell’ambito del progetto “Soglie 2.0” dell’associazione culturale udinese C.O.R.E. che si è svolto sabato 24 ottobre, negli spazi della Comunità Nove di Sant’Osvaldo. Tanti i convenuti e ciascuno ha potuto trovare sollecitazioni diverse per varcare la sua soglia e affrontare un processo quasi costitutivo dell’uomo, com’è quello della migrazione, che oggi però ha assunto contorni drammatici e rispetto al quale nessuno può chiamarsi fuori.
Sotto la direzione scientifica di Marisa Sestito, l’appuntamento ha lanciato il suo messaggio chiaro all’insegna dell’inclusione – pensata, organizzata, amata – a partire dallo spazio dove si è svolto: la sala resa vivissima dalla creatività colorata di persone con disagio psichico che le attività della Comunità Nove riescono a far esprimere al meglio.
Èstato il sindaco di Udine, Furio Honsell, ad aprire il pomeriggio immettendo immediatamente il pubblico nel percorso che avrebbero idealmente compiuto. Ha raccontato infatti di quel giovane afghano incontrato sulla soglia del municipio proprio il giorno prima, arrivato lì senza nulla tranne che una piantina fotocopiata della città su cui era evidenziato in verde il tragitto dalla Questura al Municipio. Uno spaccato della fatica quotidiana di un amministratore chiamato a dare accoglienza senza avere spesso tutti gli strumenti per poterlo fare. Ma è anche il sindaco-scienziato, Honsell, e il viaggio su Marte lo affascina e con esso il mistero della vita che, ha detto, “mi ha sempre stupito perché, guardando alle dinamiche dell’universo, essa nasce quando sembra finire tutto”.
Le straordinarie voci di Claudia Grimaz, Nicoletta Oscuro in trio con Massimo Somaglino hanno ridato vita alla storia cantata dell’emigrazione italiana e friulana, guidate dall’evocativo tema “Mamma mia dammi cento lire”.
Antonella Nonino, assessore ai Servizi sociali del Comune di Udine, e don Pierluigi Di Piazza, anima del Centro Balducci di Zugliano, hanno messo in evidenza le luci e le ombre del sistema d’accoglienza regionale, italiano ed europeo di fronte agli imponenti flussi migratori. “La modalità di incontro con l’altro che arriva da noi è la manifestazione delle relazioni che viviamo ogni giorno”, ha avvertito Di Piazza, che ha usato parole puntuali e dure nell’analisi della condizione contemporanea. “Ebbene – ha proseguito -, coloro che arrivano ci rivelano com’è il mondo, strutturalmente ingiusto, e ci rivelano qual è la sensibilità del Friuli e delle politiche europee”. Ha denunciato “le complicità strutturali che generano le guerre” e la mancanza di “una politica che abbia creatività, lungimiranza, capacità. Non c’è”. Punto di svolta per cambiare passo? “Essere consapevoli che siamo diversi, non superiori o inferiori l’uno all’altro. L’incontro con l’altro – ha detto citando padre Balducci – è la dilatazione della propria identità”. E per agire nei luoghi di miseria ha sollecitato: “Perché non pensare a un progetto intelligente sull’Africa subsahariana”?
Sono persone che cercano “non un futuro migliore ma un futuro possibile”, ha detto Nonino, raccontando la vita di tante persone che scappano da condizioni di guerra e approdano a Udine. Nel luglio del 2013 ne arrivarono 84, nel 2014 gli arrivi sono stati 455, nel primo semestre 2015 si è saliti a 991. In questo momento a Udine ci sono 627 richiedenti asilo, ha aggiornato, “cioè 1 ogni 157 abitanti”. E si è chiesta: “Davvero la città non può sostenere simili cifre?” Risposta scontata, la sua: “Se non c’è accoglienza, c’è massima insicurezza sul territorio”, ha concluso.
Affascinante l’avvicinamento al mondo dei lupi, tornati ad abitare le Alpi, al quale ha guidato Daniele Zovi, comandante del Corpo forestale dello Stato in Friuli Venezia Giulia e Veneto. “Il lupo e l’orso sono stati raccontati nel tempo con caratteristiche che non appartengono loro, caricati di significati simbolici impropri”, ha premesso inducendo rimandi ai racconti distorti della migrazione che si fanno oggi. Indicato come la personificazione del male, in realtà “il lupo è un animale sociale, vive in piccolissimi branchi e non attacca l’uomo”. Tuttavia, ha aggiunto, “la paura non va negata, ma va legata alla conoscenza alla razionalità”.
Ci si occupa e preoccupa della propria paura e “non pensiamo mai alla paura di chi arriva”, ha ribaltato la prospettiva Gianpaolo Carbonetto nel suo dialogo con il giovane medico – 26 anni – Pietro Aliprandi, l’unico italiano che si è imposto sui 200mila candidati al progetto “Mars One” dell’imprenditore olandese Bas Lansdrop che punta al volo sul Pianeta Rosso nel 2027. Aliprandi, dunque, sarà un migrante. Ha paura? “È una sfida che ho scelto – ha risposto il giovane – e tuttavia ciò che mi preoccupa è la paura di aver paura quando arriverà il momento”. Non lo intimoriscono le possibili fragilità della tecnologia per supportare un viaggio di sei mesi, ma “l’aspetto psicologico”.
Oggi, ha considerato Carbonetto nella sua analisi-riflessione sul futuro del pianeta, “siamo stati defraudati del futuro e ci siamo anche dimenticati che la migrazione è insita nella natura umana”. E rivolgendosi ad Aliprandi: “Vale la pena di provare a sfidare l’ignoto per ridare all’umanità un’idea di futuro”? Il giovane medico non ha avuto esitazioni: “Sì – ha risposto -. La dimensione spirituale di questa conquista è la più pregnante: mi immagino che tutta la terra segua il momento in cui un uomo metterà piede su Marte e guardi a quell’evento come a una conquista dell’umanità. L’uomo confermerà così a se stesso la sua naturale ispirazione all’esplorazione”.